Anche quest’anno il Progetto “Amazzone o Penelope” realizzerà una serata sul tema del femminile e del materno.

La serata sarà il 19 Ottobre a Cusano Milanino (MI)….e, dati i milioni di impegni che ci accompagnano quotidianamente, mi raccomando, cominciate a segnarvi la data!

Ieri pomeriggio, eccoci al secondo incontro di progettazione.

Gli incontri meritano qualche parola in più perché si tratta di momenti colorati di tinte intense o sfumate, da scale cromatiche ricche e variegate, da colore e calore, insomma, lavorare insieme è anche piacevole! Insomma la metafora delle tessitura si rincorre e ritorna non solo nel titolo, ma nella ricerca progettuale del gruppo.

Il gruppo è composto da 4 professioniste dell’educazione – 3 consulenti pedagogiche una docente – e da una psicologa (io) ma, soprattutto, da persone appassionate del proprio lavoro e non solo di quello … e si lavora molto, devo dire, anche per cercare di offrire spunti ogni volta nuovi e stimolanti, per noi stesse e per chi sarà ad ascoltarci.

Quest’anno il Progetto incontrerà un Centro di Riabilitazione dell’hinterland milanese che lavora con bambini con sordità e con difficoltà di apprendimento e di linguaggio, e con le loro famiglie.

La sfida di far “dialogare” i temi e le problematiche trattate da questo Centro con il Progetto “Amazzone o Penelope” e quindi con l’approccio che noi portiamo è davvero una bella opportunità di incontro. E questo momento, ovvero quello dell’incarnazione dell’incontro dentro e attraverso la progettazione rappresenta sempre un concepimento importante.  Il nostro gruppo “Amazzone o Penelope” si vive nella fase in cui l’attesa è gravida di possibilità e di potenziale trasformazione. 

Riflettevo, qualche giorno fa, su questo tema dell’attesa, come qualcosa di pieno e non vuoto (il cosiddetto vuoto “a perdere”), come a volte si tende a pensare; e lo pensavo partendo proprio dalla figura di Penelope.

Sicuramente la riflessione si potenzia e rinforza con un pensiero autobiografico, laddove mi sono trovata, per la prima volta e per una settimana, senza compagno andato lontano per lavoro.  In questi caso, mi sono detta: “… come si fa a non empatizzare con Penelope?”.

La figura di Penelope, per molti versi, mi pare emblematica. Chissà come mai è rimasta ai posteri come modello di una donna in “passiva” attesa?

Certo l’Odissea la descrive come colei che rimane a casa, mentre il compagno va a conquistare il mondo (pare per quindici anni!), ma leggendo si comprende come non si possa dire che si annoiasse, anzi. Oltre ad occuparsi di figlio, cane e casa, si è impegnata anche nel governo degli “affari”; insomma più che ad aspettare Ulisse, appare risoluta a costruirsi un suo modo di vivere anche senza il compagno, oltre che spendere/riempire molto del suo tempo a gestire i problemi da sola, spasimanti Proci compresi. Mostrando con evidenza grandi competenze manageriali: di cui la tessitura della famosa tela, fatta di elaborati intrecci, tessuti e disfatti ogni notte,  è una impagabile metafora.

In tutto questo, appaiono le qualità del calore e della fredda ragione che possono rappresentare due “fili” tessuti in coppia, che sono a disposizione del femminile, e  che si mescolano come fibre di diverso tipo o colore, ottenendo effetti mélange.

… Appare così una Peneolpe duplice attenga a governare con la ragione il regno e la famiglia, i suoi “beni” ma anche capace di  “philia”, un sentimento di profondo affetto e amicizia); è una donna che non si accontenta o meglio che non rinuncia alla dimensione dell’eros (calore, passione, cura, attaccamento) verso la vita itera, compagno compreso … ma è capace anche di andare oltre.

Un po’ come nei film di Hitchcock, in cui le figure femminili, apparentemente distanti e severe, spesso ardono anche di passioni e curiosità travolgenti che le portano ad oltrepassare la soglia domestica.

Si dice …“Ghiaccio bollente”